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di Luca Pelosi (Il Romanista)
Il 28 agosto 1957 alla stazione Termini ci sono cinquemila persone. Tra loro ci sono anche Armando Lugari, presidente dell’A.S. Roma Ciclismo, Pietro Chiappini e l’onorevole Baldassarre, che ha da poco lasciato la presidenza dell’A.S. Roma a Renato Sacerdoti. Ci sono anche i dirigenti dell’A.S. Testaccio, a completare un quadro tutto romanista. Già, perché Luciano Ciancola, ciclista giallorosso, ha iniziato proprio a Testaccio. Ed è finito, cinque giorni prima, il 23 agosto 1952, col diventare campione del mondo dilettanti su strada, in Lussemburgo. Il suo ritorno a Roma è una passerella trionfale. È un trionfo che vale assolutamente la pena raccontare.
Era sceso in strada con una grande voglia di rivincita, Luciano, perché il Mondiale dell’anno precedente non era andato bene per lui, che però stavolta non sbaglia nulla. Gestisce alla perfezione la strategia per la volata finale, spunta alla destra del rettilineo, parte al momento giusto e riesce a resistere alla rimonta dell’olandese Van der Berger, che peraltro poi verrà anche squalificato per cambio di bicicletta. Si commuove sul podio, come pochi giorni dopo si commuove la mamma alla stazione Termini. È una donna un po’ spaesata, così almeno viene descritta, per il frastuono e per gli striscioni che sono rivolti al figlio, tra i quali “Luciano ottavo Re di Roma”. Lei aspetta lì, insieme al marito, il papà di Luciano. «Immaginate lo stadio, la folla e la Roma», scrive Mario Pennacchia, che romanista non è. Quando arriva il treno è come un gol. Ci vuole un bel po’ prima dell’abbraccio tra genitori e figlio campione del mondo, che poi viene faticosamente infilato in un taxi che lo porta alle mura di San Paolo, dove l’attende una banda che intona l’inno di Mameli. Riesce anche a dedicare qualche minuto ai giornalisti che lo seguono. «Sono felice, raggiante. Era un sogno che durava da un anno e che si è finalmente realizzato. Mi sentivo benissimo, avevo raggiunto un grado di forma perfetto. Quando ho visto lo spiraglio non ho esitato un momento a tuffarmici. Sono contento per tutti. Per me, per l’A.S. Roma Ciclismo, per i miei vecchi dirigenti del Testaccio, che non mi hanno mai dimenticato». Poi viene interrotto da altri tifosi. «Luciano, metti la maglia!». «Quella di campione del mondo?», chiede lui. «E quale, sennò?». E via altre foto.
Qualcuno gli ha conservato tutti i giornali, anche quelli del Belgio. Anche loro, cosa non scontata, gli riconoscono la legittimità della vittoria, oltre a quella della squalifica di Van Der Berger, definito «bravo ragazzo ma anche ingenuo. Aveva tre biciclette pronte in tre posti diversi. Sperava che nella grande confusione non si notasse il trucco. Ma gli avversari avevano gli occhi aperti». E ancora: «L’italiano è stato il migliore e ha meritato la vittoria». Lui legge con piacere e tira fuori i telegrammi che lo avevano raggiunto in Lussemburgo subito dopo la vittoria, tra i quali ce n’è anche uno firmato dai giocatori della Roma calcio al completo, che si trovavano a Castelvecchio per un allenamento.
Solo in serata arriverà l’abbraccio con la nipotina e con i genitori. Poi, nella stagione successiva, sarebbe passato professionista e avrebbe trovato molte difficoltà. Ma questa è un’altra storia. La Storia, Luciano Ciancola, A.S. Roma Ciclismo, l’aveva fatta il 23 agosto 1952 ed è giusto ricordarla.
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