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di Luca Pelosi (Il Romanista)
Gigi Sgarbozza: “Vedo pedalare i ciclisti giallorossi, penso alle mie prime vittorie da romanista e alle storie di una società pronta ad ogni sfida. Sarebbe bellissimo riuscire a realizzare un museo”
E’ un volto noto agli appassionati di ciclismo di oggi, perché fino a poco tempo fa l’abbiamo sempre visto in Rai in occasione del Giro d’Italia, e non solo, tra i commentatori. E’ un volto noto anche agli appassionati del ciclismo di ieri, perché è stato professionista dal 1967 al 1971, vincendo anche una tappa al Giro d’Italia e una alla Vuelta quando, nel 1969, per tre giorni indossò anche la maglia amarillo di leader della corsa. La passione per il ciclismo l’ha sempre accompagnato e lo accompagna tuttora. La sua storia, però, inizia con l’A.S. Roma Ciclismo. Lui è Luigi Sgarbozza, per tutti Gigi, e ancora oggi quando gli si nomina la squadra giallorossa si illumina. “Nel 1959 mi tesserai con la Roma. E’ uno dei ricordi più intensi perché nel 1959 entrai nel negozio di Pietro Chiappini in Via Gaeta, che era un punto di riferimento per tutti, e vidi Fausto Coppi. Mi ci portò mio papà, che era di Pasiano di Pordenone, dove il ciclismo è popolarissimo. Mia madre invece era contadina, s’incontrarono a Torrimpietra. Chiappini era un mito, lui e Coppi erano molto amici, ogni volta che veniva in città Coppi passava da lui, potete immaginare la mia emozione nel ritrovarmi di fronte all’improvviso il mio idolo. Sono di Amaseno, un paese in provincia di Frosinone e mi ero trasferito da poco a Roma. Avevo 15 anni e vivevo da mia zia, cercando di imparare il mestiere di idraulico. Però la passione per la bici era già fortissima. Mi svegliavo alle 5 per pedalare fino a Ostia e tornare indietro, alle 8 salivo sul tram e andavo a lavorare”. E le gare con la Roma? “Ho vinto una gara da Esordienti e una tra gli Allievi, ma arrivavo sempre tra i primi cinque. La prima corsa fu a Montesacro nel 1960, con oltre trecento partenti. Ed era una gara Esordienti. Il ciclismo era ancora lo sport nazionale. Caddi a 50 metri dal traguardo, quando stavo lottando per la vittoria. Mi ricoverarono al Policlinico, che paura. Pensai a mio fratello, che era più grande di me. Lui era morto a 15 anni, colpito da un fulmine. E si può solo immaginare lo spavento dei miei genitori. Invece andò bene, continuai a correre e a pensare a mio fratello. Ci penso ogni giorno, ancora oggi”.
La carriera di Gigi prosegue. “Nel 1969 ero 29/o nel ranking mondiale. Era un ciclismo diverso, ogni squadra era composta da 10, massimo 13 corridori, aveva un capitano e gli altri correvano per lui. Io però tendevo sempre a fare la mia corsa, ero un velocista ma mi difendevo anche nelle salite non eccessive, diciamo fino agli 800-1000 metri. Tutto con le mie gambe, mentre i capitani venivano portati fino a poche centinaia di metri dal traguardo e i gregari si ritiravano. Ho smesso a 28 anni anche per questo, ma credo che il mio modo di correre piacesse, ero molto popolare. Penso che nel ciclismo di oggi mi sarei trovato meglio e avrei vinto di più, perché ogni squadra non ha un solo capitano e perché sapevo leggere bene le corse”.
Dopo una carriera come rappresentante di commercio, un’altra svolta: “Nel 1985 la Rai doveva trasmettere la Vuelta. Il giornalista Giorgio Martino, che è stato anche direttore di Roma Channel, mi chiese il favore di commentare qualche tappa. Piacqui al direttore, Mario Giobbe. “Chi è questo? – Chiese – E’ un po’ burino, ma è esperto e bravo. Però senza contratto non può lavorare”. La segretaria mi disse: “Se non ti chiamiamo entro le 10, domani non venire”. Mi chiamarono alle 10 meno 10 e per me c’era un contratto di sei mesi. E’ iniziato un rapporto con la Rai durato più di vent’anni che mi ha dato molta soddisfazione, ancora oggi ringrazio l’azienda e tutti i direttori”.
E poi c’è un altro grazie a cui tiene particolarmente. “All’A.S. Roma Ciclismo, perché è il posto dove tutto è iniziato, perché fa ciclismo con la maglia dei colori che amo, dato che sono un tifoso della Roma, e per quello che è oggi. Lorenzo Balesi è un ottimo presidente, spesso passo a Tor Vergata e vedo i ciclisti giallorossi che si radunano per i loro allenamenti, di molti sono amico, come ad esempio del mitico “sindaco”, Luigi Maura. Ho visto con piacere che Pietro Salza, nipote di Pietro Chiappini, è diventato vicepresidente, lui ci tiene moltissimo. A Roma ci sono tante storie di ciclismo da raccontare, ora spero che il Giro d’Italia arrivi per tanti anni nella Capitale, sarebbe bello. E sarebbe bellissimo riuscire a concretizzare l’idea di un museo del ciclismo a Roma. Purtroppo non è una città semplice, i genitori tendono a non mandare i figli in bici per strada, il manto stradale è molto accidentato. Se penso a com’erano le strade a fine anni 60 tra Grottaferrata, Frascati e Marino, dove vanno molti ciclisti, e a come sono oggi, mi viene tanta tristezza. Ecco, un museo che tenga viva la storia e magari una grande corsa che aiuti a sistemare le strade darebbero una grande mano a tutto un movimento che in città è sempre ottimamente rappresentato dall’A.S. Roma Ciclismo. E’ un orgoglio per me averne fatto parte”.