(foto di tuttobiciweb.it)
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di Luca Pelosi (Il Romanista)
Cento. Cifra tonda. Numero sempre affascinante, come non può non esserlo un primato su questa distanza. Una sfida col cronometro, quindi con se stessi e con la propria testa, perché oltre alle gambe ci vuole tanta testa per pedalare per 100 chilometri all’interno di un velodromo. Ci riesce Carmine Saponetti, atleta dall’A.S. Roma Ciclismo, il 3 novembre 1938 al velodromo Vigorelli di Milano, stabilendo il primato del mondo. Il tempo da battere è di 2 ore, 26 minuti, 21 secondi e 4 decimi ed era stato stabilito poco tempo prima dal veronese Andrea Piubello, che a sua volta lo aveva tolto al francese Maiaval. Saponetti abbassa il primato di quasi tre minuti, perché percorre i 100 chilometri, pari a 251 giri del velodromo, in 2 ore, 23 minuti e 38 secondi, quindi a una media di 41,773 chilometri orari, migliorando i 40,996 di Piubello. «La nuova impresa di cui si è reso capace il campione romano – scrive Il Littoriale – che già nell’anno scorso sulla poco scorrevole pista del Motovelodromo Appio era riuscito, ad onta dei tre appiedamenti per foratura, a ottenere il tempo di 2 ore, 27 minuti e 23 secondi, è di ordine superiore, quale non può essere che alla portata di un atleta di elevata classe. Già in altre occasioni Saponetti ci aveva potuto fornire eloquenti dimostrazioni delle sue eccezionali qualità di passista, ma la nuova prova da lui compiuta pone l’atleta romano su di un piano ben più elevato».
La cronaca dell’epoca prosegue rendendo merito alla prova dell’atleta giallorosso: «Quello che c’è di più sorprendente in merito alla prodezza dell’atleta romano è la maniera con cui essa si è compiuta. Partito infatti col proposito di regolare l’andatura con una tabella di marcia avente per base i 34″8 al giro che gli avrebbero consentito di superare di 28″ il tempo di Piubello, Saponetti manteneva per molto tempo il ritmo della pedalata sulla tabella stessa, giacché il suo vantaggio non era che di soli 20″ al passaggio dei 20 km. Ma a partire da questo punto l’atleta, sfoggiando sempre una grande scioltezza e uno stile impeccabile, incominciava a mantenersi costantemente fra i 34″ e i 34″8 per poi passare al di sotto dei 34″ e molte volte dei 33″. Questo ritmo accelerato della cadenza, che ha tanto caratterizzato la brillante prova di Saponetti, emerge del resto più evidentemente dalla linea dei tempi ottenuti per la prima e per la seconda metà della distanza. I primi 50 km vennero infatti coperti in 1 ora, 12 minuti e 6 secondi. I secondi 50 km in 1 ora, 11 minuti e 1 secondo”.
Ma non è tutto. Nella sua marcia trionfale, infatti, Carmine Saponetti riesce a migliorare sensibilmente tutti gli altri primati sulle distanze chilometriche a partire dai 60 km. E quindi i record sono otto: 60 km, 70 km, 80 km, 90 km, 2 ore, 100 km, 40 miglia, 50 miglia, 60 miglia. Il tutto alla presenza dei vertici federali. «Cosa ci riserverà ancora l’atleta romano?» si chiede Il Littoriale alla fine dell’articolo. Tra le cose che avrebbe riservato il prosieguo della sua carriera da professionista ci fu il titolo di campione italiano dell’inseguimento, che nel 1941 dovette cedere a Fausto Coppi. Una delusione arrivò l’anno dopo, quando, nel novembre ’42, dopo aver mancato il tentativo di battere il record dell’ora del francese Maurice Archambaud, dovette assistere al successo di Coppi (per soli 31 metri!) nell’analogo tentativo effettuato al Vigorelli. Per Saponetti fu l’inizio del declino. Ma Carmine la sua storia l’aveva già scritta, dopo essere passato dalla “Voce di Mantova” all’A.S. Roma Ciclismo e dopo aver vinto due tappe del Giro d’Italia, una delle quali con arrivo a Roma. Una leggenda, forse vera, racconta che la mamma gli aveva consegnato 100 lire per le spese da sostenere, prima di quella tappa, ricevendone in cambio occhi lucidi e la promessa, subito mantenuta, di un’altra vittoria.
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