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di Luca Pelosi (Il Romanista)
Grande annata, il 1953, per l’A.S. Roma Ciclismo. Dopo un 1952 che aveva portato il titolo di campione del mondo di Ciancola e la vittoria del titolo italiano a squadre, l’anno successivo arrivano ben 39 vittorie su 50 gare. In particolare, spiccano il titolo italiano dilettanti di Nello Fabbri e il titolo di campione italiano Indipendenti vinto da Bruno Monti. Categoria che non esiste più da tempo, ma che all’epoca era decisamente importante. Si trattava sostanzialmente di una categoria intermedia tra i professionisti ed i dilettanti. A quei tempi venivano organizzate gare riservate esclusivamente a corridori appartenenti a questa categoria con tanto di campionato italiano e maglia tricolore anche se gli “indipendenti” potevano partecipare a tutte le gare professionistiche e a determinate gare promiscue con i dilettanti. Ed ecco perché, pur essendo già tesserato Arbos, la vittoria di Monti è a tutti gli effetti una vittoria dell’A.S. Roma Ciclismo.
Il giorno della vittoria è domenica 16 agosto 1953, in occasione della gara di Pontremoli, ultima del circuito al termine del quale si assegnava il titolo. Anche la formula dei campionati italiani assoluti era così. Il quarto posto finale, con 21 secondi di ritardo rispetto alla coppia che si giocò la vittoria, ottenuta da Andrea Prisco su Rino Benedetti, gli basta per vincere la classifica finale davanti a Luciano Frosini, Lido Sartini e lo stesso Andrea Prisco.
Fu un dominio assoluto quello di Bruno Monti, tesserato Arbos ma sempre definito “il giallorosso” dalla stampa dell’epoca. «Si attendeva una competizione serrata e avvincente – scrive Mario De Angelis sul Corriere dello Sport – invece Bruno Monti ha reso il campionato schiavo della sua superiorità. Cinque prove in programma, tre vittorie per il giallorosso a Cosenza, Saltara e Ceprano, e due quarti posti». Queste le “cifre” della superiorità di Monti, capace di doppiare tutti gli avversari nel punteggio. Ma già dopo le prime due prove, entrambe vinte con una grande dimostrazione di superiorità, soprattutto a Saltara, non potevano esserci dubbi su quello che sarebbe stato l’esito finale del campionato. Il 1953 è un anno d’oro per lui, che già nella Roma-Napoli-Roma aveva dimostrato di poter lottare con gente come Magni, Koblet, Ockers e Bartali. Ottavo alla Sassari-Cagliari, nono al Giro del Piemonte, terzo nella classifica generale nella Roma-Napoli-Roma, vincitore di due tappe consecutive al Giro d’Italia. La vittoria al campionato italiano indipendenti è un’altra pietra importante per conquistarsi il rispetto del gruppo. «Un titolo italiano – dichiara al termine dell’ultima gara – è sempre un passo avanti. Pertanto dovevo conquistarlo a tutti i costi. Sapevo di avere tutti contro, ma sono riuscito a fare la mia corsa e a vincere bene. Nessuno può dire che il successo sia arrivato in modo fortunato». E ascoltate le parole di Gino Bartali: «Bruno, hai classe e devi essere soddisfatto di questa affermazione. Ricordati che io al mio primo Giro d’Italia ho vinto solo una tappa».
Proprio dopo il Giro si dedicò al campionato indipendenti, preparato con cura e vinto anche se nel giorno della conclusione la tappa di Ceprano non era ancora stata omologata. Unico neo l’esclusione dalla Nazionale per il Mondiale di Lugano, che sarebbe stato vinto da Coppi. «È stato ingannato – tuona il Corriere dello Sport – e si è fatto infinocchiare da persone poco raccomandabili in quanto a serietà sportiva. Quando ha appreso la lista degli iscritti ha pianto come un bambino. E lui per la sua ingenuità ha poco da invidiare ai ragazzi. È onesto e fin troppo buono, e in un ambiente dove la furberia è sempre all’ordine del giorno non c’è posto per coloro che sanno camminare per la loro via senza danneggiare nessuno». La critica è rivolta alle scelte del commissario tecnico Alfredo Binda, ma la cosa più importante è che «Bruno Monti avrà tempo per dimostrare il suo valore anche a chi in questo delicato momento ha voluto dimenticarlo. Dalla sua parte ci sono la gioventù e la classe. E con questi due requisiti si può guardare avanti senza paura».
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