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di Luca Pelosi (Il Romanista)
Lontani da Roma, ma non lontani dal cuore. Perché il cuore è a Roma e l’A.S. Roma Ciclismo è il modo migliore per tenersi legati alla propria identità e alle proprie radici. Così, scavando nelle storie del sodalizio giallorosso, se ne scoprono anche due “a distanza”. Dove non importa quante e quali gare fai, quanti chilometri fai e con chi. L’importante è mantenere la tessera della società e poter pedalare portandone in giro per le strade i colori.
La prima di queste due storie arriva da Parma, dove oggi vive Gianluca Niro. “Sono di Roma, mi sono trasferito qui per lavoro” ci racconta e la sua cadenza non mente. “Ho iniziato a fare sport con il calcio, ma non mi piaceva. Poi per un po’ ho fatto nuoto, finché un giorno i miei genitori mi hanno regalato una bici da corsa. Ed è stata una folgorazione”. La bici fu comprata presso “Cicli Liberati”, storico sostenitore dell’A.S. Roma Ciclismo, dove Gianluca conosce Nazzareno Asci. “Il negozio per me era diventato un punto di riferimento. Nazzareno ancora non era responsabile del settore strada dell’A.S. Roma Ciclismo, ma quando mi ha detto che sarebbe passato alla società giallorossa l’ho seguito, anche se nel frattempo mi ero già trasferito. L’esperienza con la società di Parma era finita, anche se le amicizie individuali sono rimaste, ma ho preferito la Roma pur sapendo che non averi potuto fare vita di società. Per me però, oltre al rapporto con Nazzareno, era importante anche mantenere un legame con la mia città, indossando una maglia che porta i colori della città. In fondo ce l’ho solo io da queste parti ed è divertente quando mi riconoscono, anche se di sicuro non sono il tipo che ama mettersi in mostra. Non faccio ciclismo per questo”. Com’è stato l’adattamento al nord? “La cosa più difficile è stata adattarsi al clima. Poi, una volta che ho imparato a vincere il freddo, ho iniziato a divertirmi tantissimi in bicicletta. L’avevo messa un po’ da parte nel periodo degli studi universitari, poi l’ho ripresa per un po’ senza tanto agonismo, ma a un certo punto ci ho preso gusto”.
Ed ecco un Gianluca che ama spingere forte sui pedali: “Nel 2015 ho fatto almeno 15 granfondo, sia tra le più importanti sia tra quelle magari meno conosciute. Ho portato a casa anche un Prestigio, riuscendo a completare le 7 granfondo necessarie”. Oggi l’approccio è diverso: “Il tempo passa e cambiano anche le prospettive. Il tempo da dedicare al ciclismo è poco, a causa del lavoro. Così scelgo poche granfondo, ma di quelle per cui vale la pena spostarsi per godersi il percorso e misurarsi con se stessi. Guardo il cronometro, mi impegno, se vado in compagnia penso alla compagnia. L’importante è finire le gare bene, senza aver rischiato nulla per la salute e per la sicurezza. In fondo chi mi conosce sa quanto valevo, oggi mi diverto. I campioni stanno in tv, noi siamo scarsi, poi qualcuno è più allenato e qualcuno meno”. Gare preferite? “Mi piace molto la Oetzaler Marathon. L’ho rifatta sei anni dopo la prima volta, naturalmente ci ho messo un’ora e mezza in più, ma l’ho fatta in compagnia e ne sono molto contento. E’ una delle più belle secondo me. Anche più dura della Sportful, perché la salita più dura sta alla fine, mentre alla Sportful è all’inizio. Poi mi piacciono molto la Fausto Coppi e la Felice Gimondi, perché il percorso intorno alle prealpi bergamasche è molto suggestivo. Mi piaceva molto la Granfondo Roma, è un peccato che non si faccia più. Era anche un modo per tornare nella mia città grazie allo sport che amo. Il periodo storico comunque è questo, dopo il Covid si sono alzate le spese e un amatore deve sempre tener presente il rapporto tra la spesa, non solo economica, ma anche energetica e ‘mentale’, perché organizzarsi per andare fuori alle granfondo non è mai semplice, e ciò che ti torna indietro. Così mi scelgo due o tre gare belle, per cui vale la pena fare lo sforzo sia organizzativo sia di allenamento. Mi diverto, mi sento bene, indosso la maglia della Roma”. Non è affatto poco.
Da Parma all’Irpinia, dove troviamo Simone Scarsella, che a Roma è nato ma poi si è trasferito perché lì c’è la famiglia della mamma. La sua storia con la bicicletta inizia in un punto di Roma familiare agli atleti dell’A.S. Roma Ciclismo, perché spesso è luogo di ritrovo per le uscite di gruppo. Tor Vergata, però, per Simone è il luogo in cui nel 2009 deve sottoporsi a un trapianto. “Avevo bisogno di smaltire il ferro – ci racconta – e così mi fu consigliato di praticare sport all’aperto. Il ciclismo era quello più indicato. Mi è piaciuto fin da subito, poi nel 2014 mi sono tesserato e fino al 2016 sono stato molto attivo. Sono arrivato a partecipare anche a trenta o quaranta gare in un anno tra circuiti, granfondo, cronometro. Nono sono mai andato particolarmente forte, ma mi sono sempre divertito”.
A un certo punto, arriva l’incontro con l’A.S. Roma Ciclismo: “Sono venuto a conoscenza della società tramite internet. Ho visto un annuncio, li ho contattati. Mi piaceva la divisa ed era un modo per sentirmi legato alla mia città, dato che, pur avendo sempre vissuto in irpinia, sono pur sempre nato a Roma. I turni di lavoro non mi consentivano neanche qui sul territorio di fare vita di società, il tempo per la bici è poco e un ciclista per prepararsi bene ha bisogno di molto tempo. Non l’ho comunque mai mollata. Anzi, per me è sempre stato un modo per rilassarmi dopo turni di lavoro pesanti. Sono stato felice di aver trovato l’A.S. Roma, il prossimo sarà il terzo anno con loro. In fondo, come detto, Roma è la mia città e quella di mio padre. E in un certo senso a Roma sono nato due volte, la seconda proprio nel 2009, quando è iniziata la mia vita da ciclista”.
La bici l’ha comunque riportato a Roma qualche volta: “Ho partecipato alla Granfondo Roma con il pettorale solidale, peccato che non si faccia più. Mi sarebbe piaciuto partecipare a qualche iniziativa della Società, come ad esempio la Roma by Night, speriamo di averne l’occasione in futuro. Conoscevo già Elisa Rigon, avevamo fatto alcune granfondo insieme, lei inoltre era amica con il presidente della mia vecchia squadra. Ho conosciuto Roberto Marcotullio alla Cronometro dei Templi a Paestum, una gara che faccio ogni anno. Ho partecipato anche alla Nove Colli ed è stato divertente perché mi hanno riconosciuto dal pantaloncino e mi hanno fatto: ‘Daje!’. La maglia dell’A.S. Roma ha il suo fascino, non c’è dubbio”. E in irpinia come ci si allena? “Le salite non mancano. Il mio percorso preferito mi porta fino alla costiera amalfitana e ritorno. Ma vanno bene tutti. La bicicletta mi fa sentire libero. Con la bici posso star bene mentalmente e fisicamente, mi leva lo stress, e va bene così, anche facendo due gare all’anno. E sempre con la maglia dell’A.S. Roma”.