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di Luca Pelosi (Il Romanista)
Cristina Rulli, prima tra le italiane, e Paolo Martucci, hanno completato i 1200 chilometri della Parigi-Brest-Parigi: “Fatica, condivisione, felicità”. E Cristina già pensa all’Ultracycling…
Esiste dal 1891. Dodici anni prima dell’invenzione del Tour de France, cinque anni prima della nascita dei Giochi Olimpici moderni. La Parigi-Brest-Parigi è qualcosa di speciale, per la sua storicità e per la sua difficoltà. Seicento chilometri da una parte, seicento dall’altra. Con il ritorno reso più difficile per il fatto che il vento è spesso contrario, che la stanchezza dei primi seicento si fa sentire e che il percorso è lo stesso, quindi sei di fronte a qualcosa di già visto, non da scoprire. Nulla che possa spaventare l’AS Roma Ciclismo e chi veste i colori giallorossi, come Paolo Martucci e Cristina Rulli, che hanno completato l’edizione 2023. Attenzione, la Parigi-Brest-Parigi non si disputa ogni anno, ma ogni quattro. Come le Olimpiadi. Come gli eventi straordinari. Completarla vale una vita da ciclista, una vita da atleta. Una vita.
In una manifestazione che on prevede classifiche né premi (anche se è uso, fin dagli albori della leggendaria prova, rendere noti i tempi degli omologati), c’è anche la soddisfazione per le prestazioni individuali. E così è bello scoprire che la prima italiana al traguardo è stata l’atleta giallorossa Cristina Rulli, che ha concluso il percorso in 66 ore, 45 minuti e 29 secondi. Un tempo decisamente migliore rispetto a quanto lei stessa si aspettava, come ci racconta durante il viaggio di ritorno in Italia: “Sono felicissima. Avevo dichiarato 90 ore per sicurezza, ma ero convinta di arrivare in 80 ore. Invece alla fine ho fatto addirittura 66 ore, per cui sono contentissima. Sono anche la prima italiana. Ho corso senza pensare a questo naturalmente, in fondo siamo pur sempre “randagi” e quindi il tempo rimane una cosa relativa. Però a un certo punto ho incontrato l’italiana che avrebbe dovuto essere la prima, la conosco già e mi aveva detto che avrebbe voluto correre al passo. Solo che lei aveva programmato più ore di sonno e naturalmente questo fa la differenza. Io sono riuscita a fare la prima parte, da Parigi a Brest, senza dormire. Ero già testata da questo punto di vista perché mi era già capitato di percorrere 600 chilometri senza dormire. Nella seconda parte naturalmente ho anche dormito in alcune soste. Poi ho incontrato un altro “randagio” e questo mi ha aiutato molto perché siamo riusciti ad arrivare insieme fino alla fine. Ho avuto una crisi più o meno quando mancavano cento chilometri alla fine e lì ho mangiato qualcosa di diverso rispetto alle barrette che assumo in queste occasioni. Ho preso un panino, ho bevuto, mi sono riposata un po’ e sono ripartita fino al traguardo”. Con la forza di sollevare la bicicletta. Perché dopo un’impresa del genere la soddisfazione è tanta. “Tantissima e più passa il tempo e più me ne rendo conto. Tra l’altro il percorso è vero che non ha salite importanti, ma è ugualmente molto duro. Il vallonato è un tipo di strada che ti costringe a rilanciare spesso la bici, non è per niente facile. Però ti aiuta molto l’atmosfera che si respira. La Parigi-Brest-Parigi è un evento che coinvolge tutta la Bretagna. In ogni paese che si attraversa si trovano gruppi di persone che ti applaudono, striscioni, e ristori spontaneamente preparati dagli abitanti del posto, al di là di quelli predisposti dall’organizzazione, che è comunque ottima, anche se con tanti servizi a pagamento compreso il cibo stesso. Torno a casa molto contenta e soddisfatta, perché questa è una gara che almeno una volta nella vita va fatta e anche stupita di me stessa per il tempo impiegato. Sono diventata randagia, ma lo spirito agonistico in fondo dentro di me c’è sempre e sto pensando a passare all’ultracycling”.
Tanta felicità anche nelle parole e nel cuore di Paolo Martucci, che da tantissimo tempo guardava a quella che, giustamente, definisce l’Olimpiade del ciclismo. Al di là delle particolarità del mondo delle randonnée, della distinzione tra agonismo e mondo amatoriale, non c’è altro evento ciclistico che si svolga ogni quattro anni, proprio come le Olimpiadi. “Sono molto soddisfatto, me la sono veramente goduta – ci racconta Paolo – Avevo letto di questo evento su una rivista specializzata più di vent’anni fa. E avevo pensato che chi s’imbarca in una roba del genere è pazzo. Oggi tra questi pazzi ci sono anche io”. E’ effettivamente una pazzia? “Quando sei lì ci sono dei momenti in cui pensi ‘Ma chi me l’ha fatto fare?’. Però stringi i denti, entri veramente in un’altra dimensione. E arrivi al traguardo. E sul momento pensi: ‘Non darò mai più un colpo di pedale in vita mia’. Poi ti senti un po’ meglio e, anche se i postumi a livello di fastidi te li porti dietro per qualche giorno, inizi a pensare: ‘Chissà, magari tra quattro anni ci riprovo…’. E’ così, perché la vera vittoria è completare una gara così, che è dura e ha anche un grande fascino. Per i francesi è il secondo evento ciclistico più importante dopo il Tour de France e dall’entusiasmo delle persone lungo il percorso questo aspetto si vede chiaramente. Fa proprio parte della cultura del posto. E poi, come nel pieno spirito delle randonnée, il bello è che c’è spazio per tutti. Chi la fa al passo, chi si vuole migliorare, chi se la vuole godere e magari invece rallenta apposta per prendersi tutte le 90 ore. Tanto non c’è classifica, non ci sono vincitori. Ci sono le storie di tutti coloro che hanno magari condizionato le rispettive vite per arrivare a questo obiettivo e ci sono arrivati”.
E sono pronti a ripartire. Perché chi veste i colori dell’A.S. Roma Ciclismo non si ferma mai. Per 1200 chilometri e oltre.